Lo dico sinceramente: ho fatto molta fatica a seguire il Sinodo sulla famiglia. E non tanto per le tempeste mediatiche che l’hanno circondata, dal caso Charamsa fino alla grottesca uscita del Resto del Carlino sul fantomatico tumore al cervello del Papa. No. Il problema sta altrove: nella difficoltà che, come Chiesa anche nel tempo di papa Francesco, sperimentiamo a uscire dalla bolla delle nostre discussioni.
La stessa questione sull’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati – divenuta il tormentone di questi due anni di cammino sinodale – ne è uno specchio abbastanza fedele. Si è discusso all’inverosimile su un tema divenuto una bandiera, con tanto di schieramenti, lettere, sortite di Padri sinodali. Come se verità e misericordia potessero davvero essere ridotte a parole d’ordine. Ma se c’è un ambito in cui non ha più senso oggi ragionare per schemi è proprio la famiglia. Perché ogni famiglia è fatta di storie che la Chiesa può solo accogliere e custodire come un dono singolarissimo. E le sue stesse fragilità sono un luogo da abitare, anziché giudicare con un sì oppure un no.
Accompagnare è la parola chiave uscita da questo Sinodo. Dove lo stesso criterio del “discernimento” – suggerito nell’ormai stracitato numero 85 della Relazione finale come via per affrontare le situazioni cosiddette “irregolari” – non è un compromesso al ribasso dettato dalla paura di decidere, ma l’assunzione di una precisa responsabilità. E per chi come noi ha vissuto nella Milano del cardinale Carlo Maria Martini questa non è affatto una parola nuova.
Ma qui sta anche il nodo che questo Sinodo lascia tutt’altro che risolto: come si diventa una Chiesa compagna di strada di una realtà liquida come quella delle famiglie di oggi? Sono pronte le nostre comunità cristiane a elaborare il lutto delle “famiglie di una volta” che non ci sono più? Sono pronte a ripensarsi nelle proposte, nei tempi, nelle liturgie per aiutare meglio queste nostre famiglie concrete a ritrovare nella propria storia (e non altrove) la Parola che illumina e salva? Sono pronte a lasciare che di sessualità parlino le coppie di sposi molto più dei teologi?
Alla fine è su questo – e non su una parola in più o in meno sui divorziati risposati nell’atteso documento di papa Francesco – che si misureranno i frutti di questo Sinodo. Con un amico, quando venne annunciato, sognavamo un Sinodo sulla famiglia con le macchie di sugo sulla tovaglia. A cose fatte credo che sia rimasto un bel sogno: pur con tutte le novità del pontificato di papa Francesco, le dinamiche sono state le solite dei nostri appuntamenti ecclesiali. Ma il tema della famiglia resta cruciale per la Chiesa oggi e il suo svolgimento dipenderà molto da noi famiglie. E da quante macchie di sugo condivise davvero con tutti lasceremo entrare nella vita delle nostre comunità.
Giorgio Bernardelli