Su Isis stiamo leggendo un po’ di tutto, con teorie o interpretazioni quantomeno confuse di questo fenomeno. Certo non è facile definire un simile gruppo terrorista, dato che è un’entità a molte facce, nella quale confluiscono jihadisti ma anche nostalgici di Saddam Hussein. L’Isis ha creato una sua entità statale attraverso confini prima considerati immutabili, ha una evidente impronta religiosa, ma soprattutto ancor più scopi politici e interessi economici. Ed é solo uno dei tanti attori attualmente coinvolti in un più grande conflitto mediorientale che sta ridisegnando le influenze in Medio Oriente.
Tra le “sfide” di Isis, segnaliamo spesso quelle culturali come la distruzione di resti archeologici “blasfemi” patrimoni dell’Unesco: attenzione però, oltre al significato propagandistico, lo Stato Islamico ben conosce il valore reale di tali reperti, e ne vende delle parti per autofinanziarsi. Vi sono poi le sfide religiose. Si può parlare di una “guerra santa” contro il Cristianesimo? Il messaggio e la brutalità di Isis hanno riproposto il dilemma della sfida dell’Islam al Cristianesimo, ma la risposta è no. L’Isis rappresenta prima di tutto una sfida politica e religiosa al resto del mondo Islamico, la cui popolazione è immersa da decenni in difficoltà sociali ed economiche, e vuole veicolare il messaggio – falso – che l’unica scelta possibile sia tra le dittature dei vecchi regimi e il ritorno a una forma di Islam più pura e più radicale. Per questo, l’Occidente e il Cristianesimo sono le vittime addizionali, nel tentativo di far credere che non sia possibile alcun dialogo o convivenza, ma questa è una trappola che dobbiamo evitare.
Troppo spesso, infatti, ci dimentichiamo che sono i problemi sociali, economici e di discriminazione (anche etnica, sociale, religiosa, pure tra gli stessi musulmani) a creare lo spazio per la diffusione del terrorismo. E in parte è dipeso anche da noi, convinti di liquidare tante questioni come “problemi religiosi” o di “arretratezza culturale” di quei popoli, sfoggiando un errato senso di superiorità. Dovremmo forse ammettere che ci siamo disinteressati di quei Paesi, finché alcuni problemi non sono scoppiati. Su tutti, il tema migranti: perché in zone in cui le alternative sono sopportare le bombe, morire e combattere, dove i servizi essenziali scarseggiano e dove la vendetta è all’ordine del giorno, molti provano a scappare verso quell’Europa che comunque ancora rappresenta un ideale di pace.
Alberto Rossi e Lorenzo Nannetti
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