In questi giorni, quando sentiamo anche solo nominare “Parigi”, ad ormai un mese dal quel maledetto 13 novembre, il nostro pensiero va al Bataclan o allo Stade de France dove la follia di un pugno di uomini ha lasciato sul terreno il sangue di vittime innocenti.
Subito dopo quel venerdì sera c’è stata una reazione rabbiosa, legittima, certamente comprensibile da parte delle forze di difesa francesi e di altri paesi. Parole dure sono state pronunciate, misure stringenti sono state indicate. Una “pioggia di bombe” ha poi investito Raqqa e il territorio controllato da Isis, tra la Siria e l’Iraq.
Probabilmente ci siamo accorti troppo tardi di quanto Isis sia anche un fenomeno mediatico incredibile, coerente con alcuni nostri modelli e stereotipi. Guerrieri che marciano ordinati, che richiamano giovani musulmani a combattere contro i nemici di Allah con video suggestivi e ben studiati, effettuati da professionisti, scatenando una propaganda inquietante ma molto efficace, puntando sul disagio e l’emarginazione in cui troppi musulmani vivono in Europa.
Sembrano passati decenni dai video di Osama Bin Laden e da altri leader di Al Qaeda.
Naturalmente ad un attacco di natura militare si risponde con azioni militari, volte a sconfiggere un gruppo di criminali. Bisogna convivere con l’idea che le forze di intelligence debbano disporre di tutti gli strumenti possibili per prevenire attacchi come quelli di Parigi o di altre azioni isolate progettate in altre città.
Ma c’è un punto imprescindibile. Chiudere le frontiere, sospendere i diritti, spingere sulla divisione tra i singoli Paesi dell’Unione Europea non è e non deve essere la risposta.
L’unità di intenti, una vera e propria politica estera comune europea, un’alleanza con tutti quei Paesi che hanno a cuore la libertà dei propri cittadini e di quella degli altri, con la collaborazione attiva di tutti i paesi arabi e a maggioranza musulmana, l’integrazione di cittadini già presenti sul territorio europeo e condivisione di informazioni possono essere azioni da mettere in campo per battere Isis, ricordandosi che non è espugnando il loro territorio che si sconfigge un fenomeno come questo, ma escogitando politiche internazionali lungimiranti per non ripetere errori del passato.
Isis vince quando abbiamo paura di andare al ristorante o ad un concerto (e la prima della Scala ha vinto lei per noi). Vince nel momento in cui vediamo in ogni musulmano un potenziale terrorista. Vince se in noi coltiviamo il seme del dubbio e della diffidenza.
Noi invece vogliamo battere Isis con tutte le nostre forze. Per farlo dobbiamo mettere in campo i valori che la democrazia e la libertà ci hanno insegnato, secondo il richiamo del Presidente Mattarella. Come ha ricordato più volte Marco Minniti (sottosegretario ai Servizi) , per troppo tempo le radici dell’odio sono state innaffiate, abbiamo permesso che le radici della democrazia, con i suoi valori fondanti, si rinsecchissero, lasciando troppo spazio, quindi, all’odio, alla diffidenza e alla paura.
Marco Tansini