A pochi giorni dal trattato di Parigi sul clima si sentono suonare due campane: quella degli entusiastici e quella dei pessimisti. Meglio di così non si poteva fare, dicono i primi; ad un accordo saranno arrivati, ma mancano i numeri su chi deve fare cosa, su chi deve gestire i soldi che andranno ai Paesi in via di sviluppo e poi ci si è dimenticati di prendere provvedimenti contro i grandi inquinatori che sono le navi e gli aerei, dicono i secondi. Come sempre in questi casi è difficile avere tra le mani la verità assoluta. Per non cadere in facili entusiasmi o in forme di catastrofismo totale è necessario verificare quali sono i lati positivi e quelli negativi del Trattato nel modo il più oggettivo possibile.
Di positivo c’è senza dubbio il fatto che sembrerebbe davvero che tutti i 195 Paesi che hanno preso parte alla COP21 abbiano una comune coscienza della necessità di prendere provvedimenti per impedire che la temperatura terrestre superi di 2°C, anzi se possibile 1,5°C, rispetto a quella che vi era prima dell’industrializzazione. Un secondo elemento positivo è il fatto che i Paesi in via di sviluppo hanno preso atto che non dovranno essere solo i Paesi industrializzati a prendere provvedimenti contro le emissioni dei gas inquinanti, ma che anche la loro crescita dovrà seguire linee di contenimento delle emissioni. C’è poi un altro elemento concreto: il fatto che le scelte politiche sono state guidate dagli scienziati, che forse per la prima volta sono stati realmente ascoltati, i quali “prevedono” disastrose conseguenze al superamento dei 2°C. E fin qui l’omogeneità degli intenti farebbe pensare di vivere su un altro pianeta.
L’altra faccia della medaglia arriva quando ci si pone alcune domande fondamentali. La prima è: “Le misure che si devono adottare chi le valuterà?” Ebbene il Trattato lascia ai singoli Paesi un controllo sulle proprie emissioni. Davvero Stati Uniti e Germania spegneranno le proprie centrali a carbone, soprattutto quelle che hanno da poco terminato di costruire? E davvero le centinaia di centrali a carbone la cui costruzione è prevista per i prossimi anni in Cina e in India saranno convertite in centrali solari, eoliche o geotermiche? Il dubbio è molto forte. E poi c’è un altro elemento importante da non sottovalutare, quel che scopriremo nei prossimi anni portando avanti le ricerche sul clima. Sappiamo quanto ancora siano imprecisi i modelli climatici, tant’è che quelli a lungo periodo, con previsioni che arrivano ai 50-100 anni, non mettono in risalto quel che accade a periodo intermedio (10-20 anni) e allora potrebbe essere che ci si esalti dei dati dopo 5-6 anni dal Trattato solo perché si riscontrerà un freno al riscaldamento, che potrebbe essere dettato però da cause naturali come sta già avvenendo da 18 anni a questa parte (periodo durante il quale la temperatura è cresciuta pochissimo, se non nulla) e di fronte a ciò si allarghino le maniche pensando di aver risolto ogni problema.
La politica saprà anche in quel caso, far tacere le voci degli interessi economici di fronte a fenomeni difficilmente interpretabili anche dalla scienza stessa, ma con ripercussioni che ricadranno su le generazioni future? C’è solo da sperare.
Luigi Bignami