Giunti alla fine del primo trimestre del nuovo anno scolastico, il primo della ‘Buona scuola’, si può forse tentare un primissimo bilancio degli effetti reali della riforma sul nostro sistema di istruzione, anche perché si è conclusa la parte più dibattuta dell’intervento legislativo: l’assunzione dei quasi centomila precari.
Innanzitutto va detto che l’anno scolastico è cominciato in maniera molto simile ai precedenti: con puntualità, senza clamorose proteste, ma ancora con diverse cattedre scoperte. Per superare la ‘supplentite’ l’anno decisivo dovrebbe essere il prossimo, quando entrerà in vigore la famosa, e contestata, chiamata diretta dei docenti da parte dei presidi e l’organico delle scuole sarà stabilizzato per i prossimi tre anni.
Verrebbe da dire che come al solito le riforme della scuola allarmano e scaldano gli animi ben oltre il merito delle questioni, soprattutto perché prevale sempre il senso di responsabilità delle istituzioni e del personale, per garantire un servizio vitale per il Paese.
La riforma, del resto, almeno su un punto è stata efficace: la stabilizzazione di un numero triplo di personale docente rispetto alla consuetudine degli ultimi anni (e dopo le decurtazioni degli organici dell’ultimo governo Berlusconi) ha dato al sistema un’iniezione di serenità e di speranza, visto che un precario ogni sette ha cominciato l’anno da docente di ruolo.
Un secondo importante effetto positivo -per gli insegnanti ed il loro ruolo sociale- sono stati sicuramente i 500 euro del bonus per le spese di aggiornamento recapitato nelle buste paga dei circa seicentomila docenti di ruolo già in servizio. Qualcuno dice demagogia, ma rispetto ad un contratto fermo per la parte economica da sei anni non si può certamente non notare un’importante inversione di tendenza, soprattutto perché si tratta di un intervento strutturale.
Resta da chiedersi se famiglie e studenti hanno percepito questi due segnali. Investire circa tre miliardi di euro nella scuola deve avere una ricaduta positiva sull’utenza. Considerando che questa riforma per la prima volta negli ultimi vent’anni non ha modificato il percorso scolastico né gli orari del servizio (e questo è un elemento che la rende meno percepibile all’utenza) due aspetti dovrebbero tuttavia essere già evidenti.
In primo luogo, per chi ne ha usufruito, i miglioramenti dell’edilizia scolastica, giunti già al secondo anno di efficacia (i primi erano partiti con il decreto legge sullo sviluppo dell’aprile ’14) grazie anche al coordinamento degli investimenti e degli interventi operato direttamente dalla Presidenza del Consiglio (vedi i report su http://www.istruzione.it/edilizia_scolastica/)
Meno evidente, ma già operativa al momento delle iscrizioni, è l’introduzione del piano triennale dell’offerta formativa (ptof), che dovrebbe dare alle famiglie non solo una vetrina per convincerle ad iscriversi alla scuola, ma uno sguardo più lungo e prospettico sull’istituto che frequenteranno i propri figli, con un quadro chiaro delle risorse umane ed economiche sul campo.
In sostanza nella scuola italiana del buono esisteva anche prima della riforma, ma sicuramente a qualche mese dalla sua entrata in vigore si percepiscono alcuni ulteriori segnali positivi.
Giuseppe Bonelli