In questi giorni al Memoriale della Shoah si svolgono attività di documentazione, educative e formative con studenti – domenica 31 per esempio è in programma lo spettacolo “Che non abbiano fine mai” di Eyal Lerner -. Per oltre quattro mesi la Comunità di Sant’Egidio ogni sera vi ha accolto profughi giunti a Milano da tanti paesi. Ecco alcune storie.
Nel loro transito verso il Nord dell’Europa al Binario 21 vengono accolti ragazzi, famiglie, uomini, donne e bambini che scappano dalla fame e dalla guerra. A loro vien fornito del cibo, un letto e vestiti puliti, ma anche ascolto e condivisione. Ai profughi viene letto un messaggio di ospitalità e benvenuto: “Ora sei tra amici; vorremmo che la tua vita e quella di ogni persona fosse accolta, rispettata e protetta, per questo oggi siamo qui insieme a te. Il luogo in cui ti trovi ha una storia: da qui, nel 1944, partivano gli Ebrei italiani per il campo di concentramento di Auschwitz, e la maggior parte dei milanesi era indifferente a questa tragedia”. Pochi giorni di sosta per proseguire il viaggio verso la Germania, Svezia o l’Inghilterra.
Sono più di 3000 le persone transitate. Adil, giovane musulmano, ogni sera ha pazientemente raccolto molte di queste storie in transito; storie di persone coraggiose, di riscatto, che fuggono dalla violenza della guerra e del terrorismo.
Aiman – siriano di Damasco – abitava con la famiglia nel campo profughi di Yarmouk. Nel dicembre 2012 il campo viene assaltato «da miliziani – dice Aiman – con gruppi armati terroristi, tra i quali anche Jabht Elnosra, allora l’esercito governativo di Bashar el Assad ha iniziato a bombardare il campo. Sono stati uccisi anche dei civili palestinesi. Questo è stato il motivo principale perché io, mia moglie e i nostri bambini Mahamoud e Mohammed scappassimo, fuggendo dai bombardamenti del governo e dei gruppi terroristici che avevano occupato il campo».
L’attraversata sul barcone può costare anche 7000 dollari. Per imbarcarsi occorre attraversare il mare del deserto in balia dei trafficanti di esseri umani senza scrupoli e dalle bande di rapinatori in agguato.
«Questo viaggio – dice Efrem eritreo – è durato un mese; in questo tempo abbiamo attraversato molte difficoltà e sono morte tante persone, tante donne e bambini per mancanza di acqua e cibo. Siamo stati trattati malissimo dai mediatori (in arabo “samsar”), che erano libici». «Il viaggio nel deserto – dice Aiman – è come toccare per la prima volta la morte, è il viaggio della “prima morte”».
Addouma, giovane sudanese di 21 anni, ricorda che «dopo 3 giorni sulla barca abbiamo perso tutto il cibo e l’acqua che avevamo; abbiamo iniziato a imbarcare acqua. Una donna è morta per la sete, la febbre e la fame, io l’ho toccata ed era caldissima per la febbre. Abbiamo iniziato a lanciare l’SOS e ci ha risposto la Croce Rossa che ci ha portato qui a Milano». «Forse ci separeremo – dice Addouma – e io partirò; forse ci vedremo ancora o forse non ci vedremo più, ma una cosa sola rimarrà nel mio cuore per sempre: il ricordo del vostro aiuto ospitale ed accogliente. Spero che Dio vi dia la forza e il coraggio di continuare. Grazie».
Silvio Mengotto