Il tema delle Unioni Civili è stato sempre presente, negli ultimi due decenni, nel dibattito politico e sociale diventando occasione di confronto, ma più spesso di scontro, tra diverse anime del paese e del mondo politico.
Per ben due volte sembrava di essere giunti ad una soluzione legislativa: prima con la proposta di legge nota ai più con il termine DICO (“Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”, Decreto Legge Prodi 2007, non approvato) e prima con PACS (“Patto civile di solidarietà”, Francia 1999, in Italia progetto del 2002, non approvato). Sempre, però è venuta a mancare la decisione politica per chiudere questo capitolo. La stessa Corte Costituzionale è allora intervenuta, con delle sentenze, per sollecitare il Parlamento a sanare un vuoto legislativo presente, indicando anche dei punti fermi per il legislatore: tutela dei diritti delle coppie conviventi ma distinzione dal matrimonio riconosciuto dalla Costituzione e regolamentato dal Codice civile.
Questa legislatura si sta caratterizzando per la volontà di definire una soluzione legislativa sul tema dei “Diritti Civili”. Infatti nei prossimi giorni giungerà in aula del Senato il testo licenziato dalla commissione su questo controverso tema (poi dovrà passare alla Camera). Non sarà certamente un percorso facile ma sono convinto che sia opportuno arrivare a normare un nuovo “Istituto” come richiesto dalla Corte in base all’art.2 della Costituzione, distinguendolo così chiaramente da quello della famiglia che viene declinato dall’art.29 della stessa.
L’art.2 della Costituzione ribadisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Non nascondo che il testo che verrà presentato in Aula, ad ora, presenta alcune criticità: non può restare un semplice copia e incolla del Codice civile che richiama gli articoli propri del matrimonio, ma deve pensare a come declinare diritti e doveri di una nuova formazione sociale con propria specificità.
L’aspetto più problematico poi sta nel fatto che con l’adozione del figlio del convivente omosessuale (stepchild adoption*) si vada ad incentivare l’utero surrogato, o in affitto come taluno lo chiama. Non si può nascondere che immaginare che questa adozione sia sempre possibile anche dopo aver formalizzato questa unione, apre a questa pratica. Pratica che si va affermando in alcuni Paesi, e che diventa facilmente una modalità di sfruttamento femminile. Avere un figlio resta sempre una grande responsabilità e opportunità, più che un diritto dei genitori, tutto questo per non dimenticare i minori interessati.
“Un di più” di attenzione, rispetto e lungimiranza nei confronti di tutte le persone coinvolte, credo siano indispensabili, perché una legge necessaria diventi anche una buona legge.
Paolo Cova
*Stepchild adoption: permette in una coppia omosessuale di adottare il figlio concepito dal partner o dalla partner con la fecondazione eterologa, ottenuta attraverso un terzo/a. Si potrebbe arrivare ad una totale estraneità biologica del figlio rispetto alla coppia.
Condividendo i temi di questo breve inciso di Paolo, non comprendo per mia ignoranza, la sua posizione rispetto all’adozione. Verranno fatti ulteriori emendamenti? Cosa voterà in aula?
Grazie