Assessore Marco Granelli, via dell’Arcivescovado diventa via Cardinale Carlo Maria Martini. Perché la Giunta ha scelto questo luogo?
Abbiamo voluto interpretare qualcosa che già c’era tra i milanesi, quelli che hanno conosciuto direttamente il cardinale Martini ma anche tra chi lo ha conosciuto solo attraverso i suoi scritti. Lo si è percepito molto forte nel saluto che la città gli ha manifestato in occasione della sua morte, sebbene da tempo fisicamente lontano da Milano. Chi governa una città ed è chiamato a rappresentarla deve essere attento a questo comune sentire e trasformarlo in gesti concreti, visibili e anche simbolici. Milano avrà una via dedicata al Cardinale Martini, non una qualunque, ma quella che parte dal Duomo e arriva a Piazza Fontana per aprirsi poi alla città: come il suo servizio alla città, che partiva dallo studio della Parola, interpretandola, meditandola, per poi giungere alla città. Ricordo quando lo ascoltavamo spiegarla alla “Scuola della Parola”, facendocela capire nel profondo e facendoci cambiare.
Martini è stato primariamente vescovo della diocesi e della città, da cosa nasce questo riconoscimento ‘civile’?
Dal suo ingresso in città, aveva voluto percorrere le strade, perché essere vescovo significa ascoltare la città, non dettare dottrine, ma offrire testimonianze, riflessioni, occasioni per farla crescere, per fare dialogare le sue parti. Ce lo ha ricordato nella lettera pastorale “Farsi prossimo” dove ci ha insegnato a piegarci sulla città e, umilmente ma con decisione, cercare azioni per cambiarla.
Dalla prospettiva di Assessore, quale spunto dei ‘Discorsi alla città’ rivolti dalla cattedra di S.Ambrogio ti ha colpito ed è rimasto particolarmente caro?
Ricordo quello del 1995 dove rifletteva su come i cristiani debbano parlare alla città, e quanto importante è il metodo con cui si fa politica, lasciando da parte l’atteggiamento del nemico o del consociativismo, ma cercando con la testimonianza di esserci, di mettere in campo una relazione gratuita ma nello stesso tempo determinata, ancorata a valori, sui quali costruire il consenso giorno per giorno. Mettendoci in guardia da chi i valori li urla o li impone. E ancora nel 1998, quando citava il lievito proponendo un patto di convivenza e di cittadinanza a partire dal confronto sulla vita della città e sui valori antropologici della donna e dell’uomo. Questo chiede di vivere il servizio civico vicino alle persone, a partire dal ricercare insieme le soluzioni, con uno spirito di chi non rinuncia ai propri principi e valori, ma cerca di capire, comprendere e dare insieme risposte. Ancora ricordo il discorso del 2001: di fronte al terrorismo ci ammoniva a non cavalcare la paura e la divisione, ma il dialogo, e la responsabilità dell’Europa, come oggi.
Il contributo della religione e delle religioni alla vita sociale e politica non è oggi un dato scontato, anzi. Cosa ci ha lasciato Martini a tal proposito?
Martini si rivolgeva sempre a tutti, credenti e non credenti, dicendo ai primi di ricercare il non credente che c’è in ognuno. Ha insegnato che la religione non si chiude nel privato, ma nello stesso tempo non si impone per legge: assume uno stile di confronto e di aiuto a ciascuna donna e uomo, per pensare, dialogare e cambiare. Non lo dimenticheremo.
PD