E’ iniziato il dibattito parlamentare sulle unioni civili. Alcuni spunti per un giudizio.
Il primo riguarda i diversi temi legati a questa legge. Essa si occupa da una parte delle unioni civili, ossia di normare la relazione tra coppie omossessuali che intendono vivere insieme. Queste persone aspirano a veder riconosciuta la loro relazione al pari del matrimonio. La legge dall’altra parte intende regolare la convivenza, sia tra eterosessuali che omossessuali, ossia quella forma di relazione tra persone che non intendono sposarsi ma vogliono veder riconosciuto dall’istituzione il loro rapporto. Trattasi quindi di due distinte fattispecie: le coppie omosessuali che intendono sposarsi e le coppie, omosessuali ed eterosessuali, che non vogliono sposarsi ma acquisire diritti in forza della loro convivenza. Il dibattito riguarda soprattutto la prima questione, ovvero la differenza tra matrimonio eterosessuale e unioni civile tra omosessuali. È chiaro che una differenza non si traduce in una separazione, una influenza l’altra: vi è il rischio che una apertura data oggi possa trasformarsi domani nell’accettazione automatica di ciò che oggi si vuole evitare, ossia l’equiparazione del matrimonio tra omosessuali a quello tra eterosessuali. Al contempo la paura di una deriva non autorizza all’immobilismo e al rifiuto di ogni mediazione. La proposta di legge in discussione è in grado di tenere insieme questi due profili?
All’interno della questione delle unioni tra omosessuali si inserisce la questione della possibilità di poter adottare un bambino, già figlio di uno dei due partner. Adottare un bambino è diverso dalla rivendicazione di un diritto al figlio per le coppie omosessuali attraverso necessariamente le tecniche della fecondazione assistita: nel primo caso si tratta di tutelare una persona che già esiste, nel secondo caso di dare inizio ad un processo che porterà ad avere un bambino. Al momento si discute del primo caso; vale anche qui però la regola che si è illustrata sopra, ossia se si è in grado di porre paletti tali da evitare le possibili degenerazioni. Trattandosi di una adozione, giova rimarcare che essa ha come sua primaria finalità di garantire una famiglia al minore, non di assecondare il pur legittimo desiderio di una coppia alla genitorialità. Quindi assumendo come ci ricordava il cardinale Martini (Dialogo sulla vita, 2006) quale criterio guida di “assicurare il massimo di condizioni favorevoli concretamente possibili”, se è data la possibilità di scegliere “occorre scegliere il meglio”. Per Martini il meglio consiste primariamente in “una famiglia composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità e che possano assicurare una serie di relazioni anche intrafamiliari atte a far crescere il bambino da tutti i punti di vista. In mancanza di ciò, è chiaro che anche altre persone, al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie”. Oggi gli studiosi si dividono sulle possibili conseguenze per un bambino di crescere in una famiglia omosessuale. E rimarchiamo come il criterio non possa essere quello di un bilanciamento tra benefici attesi (il desiderio della coppia omosessuale e la possibilità per il bambino di crescere in un contesto relazionale stabile e affettivo) e danni possibili (dal punto di vista della crescita integrale del minore) ma di offrire e scegliere il meglio possibile. Cosa significa assicurare ad un bambino il meglio concretamente possibile oggi?
Mario Picozzi – Università degli Studi dell’Insubria, Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita