Viviamo una fase storica complessa, segnata da profonda disgregazione economica e sociale. Aumentano le differenze tra territori ricchi e poveri, tra aree urbane e aree interne e – anche all’interno di tali contesti – tra fasce sociali agiate ed emarginate.
Mai come prima la parola chiave è “coesione”. E – anche a causa di fenomeni storici complessi che caratterizzano il nostro tempo come quello migratorio – oggi più di ieri l’ambito di riferimento nel quale pensare e agire è quello europeo.
La politica di coesione europea diventa oggi più che mai decisiva. Non si tratta di un principio astratto o solo di un valore ideale. Si tratta di uno strumento concreto da declinare – finalmente – in maniera adeguata nei contesti nazionali e soprattutto regionali e subregionali, per fronteggiare – o almeno attenuare – gli effetti della crisi ai quali facevo cenno.
Cos’è la politica di coesione europea? E’ la principale politica di investimento dell’Ue. Sostiene la creazione di posti di lavoro, la competitività tra imprese, la crescita economica, lo sviluppo sostenibile e il miglioramento della qualità della vita dei cittadini in tutte le regioni e le città dell’Unione. Sostiene soprattutto la solidarietà europea. Infatti i suoi fondi sono per lo più concentrati nei Paesi e nelle regioni in ritardo di sviluppo per ridurre disparità economiche, sociali e territoriali tuttora esistenti. Vale circa 350 miliardi di euro per il periodo di programmazione 2014-2020. E tali risorse sono reali, ovvero già disponibili, a differenza – per esempio – del Piano Juncker. E’ inoltre stimato un effetto moltiplicatore (i cui meccanismi non stiamo qui a dettagliare) che aumenta considerevolmente il suo impatto. L’Italia è il secondo Paese beneficiario.
Sarebbe interessante descrivere ratio e criteri della “coesione” (modalità e tempi della programmazione; attori coinvolti; assegnazione delle risorse ai singoli territori; protagonismo di aree urbane/metropolitane; principio del partenariato etc) ma – per brevità – arriviamo al punto decisivo. Nonostante la disponibilità di risorse importanti per realizzare obbiettivi necessari, i risultati in alcuni Paesi membri – tra cui l’Italia – restano molto al di sotto delle aspettative, soprattutto in alcuni territori.
I fattori dell’insuccesso sono molteplici ma il dato è inequivocabile. Cosa fare?
Al di là della capacità tecnica, amministrativa e finanziaria della PA che spesso non è scontata, della difficoltà del co-finanziamento, e al netto di pratiche degenerative che pure sono state all’ordine del giorno, è almeno necessario garantire: programmazione degli interventi, concentrazione tematica e finanziaria delle risorse e rispetto reale del principio del Partenariato a livello nazionale e regionale.
Non c’è quindi bisogno di richiedere continuamente all’ Ue nuovi strumenti di intervento. Partiamo dall’utilizzo efficace di quelli esistenti, magari migliorandoli. E’ una pratica difficile ma è un approccio più credibile.
Carmine Pacente – Responsabile Politiche e Programmazione europea e LEAR della Città Metropolitana di Milano