L’Unione Europea è uno dei grandi sogni del Novecento portati a compimento, grazie alla cooperazione tra paesi che hanno saputo lasciarsi alle spalle secoli di guerre e violenze e che hanno avuto la capacità di guardare avanti, immaginando un futuro comune.
Un momento cruciale nella costruzione dell’Unione sono stati i primi anni duemila, quando si è ricucita la frattura creatasi nel 1961 con la costruzione del muro di Berlino, grazie all’allargamento ad Est e l’ingresso di dodici nuovi paesi.
Oggi, con i suoi 28 paesi membri ed i 508 milioni di abitanti, l’Europa rappresenta uno dei più floridi e avanzati continenti del pianeta, nel quale i valori di libertà, uguaglianza solidarietà e giustizia sono alla base dei rapporti tra i cittadini e tra gli stati membri.
Seppur l’Unione Europea si sia sempre caratterizzata per il suo dinamismo, in questi ultimi mesi pare purtroppo vivere una battuta d’arresto, causata dalle difficoltà di gestione e di accoglienza di numerosi richiedenti asilo e migranti provenienti da Africa e Medio Oriente. In particolare, i paesi che si sono dimostrati più refrattari a progetti di inclusione e sostegno a queste persone, sono proprio le ex repubbliche sovietiche.
La situazione con la quale facciamo i conti oggi, appare per certi versi appare paradossale, quando si ripensa ai notevoli sforzi comunitari compiuti per permettere a questi paesi di entrare nell’Unione, potendo crescere e prosperare, beneficiando del mercato unico europeo e dell’erogazione di cospicui fondi europei di sviluppo regionale. Questi vantaggi acquisiti, hanno permesso loro di passare indenni tra le forche caudine della crisi economica e finanziaria, che ha invece investito molte economie avanzate, riuscendo persino a metterne in ginocchio qualcuna.
In prima istanza, una riflessione credo sia necessaria, a proposito dell’eccessiva velocità che è stata impressa all’integrazione di questi paesi e di come oggi, vedendosi caricati delle prime vere responsabilità che essere membri di questa comunità comporta, abbiano assunto una posizione assai rinunciataria.
Secondariamente, credo sia necessario che i paesi europei tornino ad essere una comunità capace di fare scelte responsabili, rinunciando agli interessi particolari per guardare al benessere comune. Non sono stati i piccoli tornaconti nazionali a creare l’Europa e oggi dobbiamo evitare che siano questi il motore di una nuova disgregazione.
L’Unione Europea deve invece contraddistinguersi per la sua capacità di gestire crisi sistemiche, riuscendo ad individuare soluzioni condivise, che siano concrete e, allo stesso tempo, ambiziose.
Abbiamo davanti a noi nuove sfide, a partire dal referendum che il Regno Unito terrà il prossimo giugno, e che ci vede tutti coinvolti per evitare di perdere uno dei paesi fondatori dell’Unione. Oggi più che mai non dobbiamo arretrare ma anzi, dobbiamo saper rilanciare il progetto europeo.
Credo infatti che a queste spinte nazionalistiche, l’Europa debba rispondere con più integrazione. L’integrazione che immagino, dovrà essere realizzata tra i paesi più convinti che un’ulteriore rafforzamento della cooperazione europea sia la via maestra per una nuova primavera del progetto comunitario.
Alessia Mosca