Per Milano l’appuntamento calcistico più importante dell’anno, la finale di Champions League, che è stata di scena allo stadio Meazza, resta un simbolo. In città non si respirava però l’aria dei grandi eventi. Certo, ospitare il derby tra Atletico e Real suonava come una sorta di colonizzazione spagnola, che riportava ad anni non certo felici per la città.
La distrazione deriva con tutta probabilità anche dalla debacle delle due squadre cittadine che sono alle prese con una crisi d’identità e di risultati davvero imbarazzante.
Credo però ci sia dell’altro.
I milanesi potrebbero rassegnarsi a una metropoli vetrina, capace di attrarre eventi e attenzione internazionale senza però farli diventare parte integrante della vita della città. Anche Expo rischiava di scivolare via distrattamente, non fosse stato per la straordinaria partecipazione collettiva alla pulizia della città ferita che ha risvegliato un po’ tutti e riconsegnato Expo a Milano.
La stessa campagna elettorale sta srotolandosi in una sorta di torpore collettivo, bucato qua e là solo da piccole polemiche che riguardano dettagli o episodi.
Sembrano esistere due Milano parallele: quella che vuole partecipare e aprirsi al piano internazionale e quella che vive una quotidianità un po’ spaventata e desiderosa solo di non vedere intaccato il proprio quieto vivere.
C’è chi vuol far credere che il voto del 5 giugno sia una sorta di formalità, visto che tra due manager la scelta non sarebbe certo tra la notte e il giorno. E un ritorno a un rassicurante passato, tutto sommato…
Non facciamoci ingannare.
Il rischio di una Milano che non prende in mano il proprio ruolo di città guida, all’insegna dell’innovazione, della partecipazione e dell’apertura alla dimensione internazionale, è quello di consegnare la partita decisiva ad altri, proprio come sabato a San Siro.
Tra chi si propone alla città come guida per processi di partecipazione e innovazione e chi chiede una cambiale in bianco da spartirsi poi con i propri azionisti politici c’è tutta la differenza del mondo.
Con Sala i milanesi rimangono in campo, con Parisi rischiano di sedersi in tribuna a guardare.
Fabio Pizzul