La costante crescita nei sondaggi elettorali dello UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito), nonché l’ormai storico euroscetticismo del popolo britannico, portarono David Cameron, primo ministro del Regno Unito ad annunciare, nel gennaio 2013, l’indizione di un referendum per risolvere definitivamente la questione dell’appartenenza britannica all’Unione Europea. E ormai siamo quasi al 23 giugno.
Le ragioni del “remain” – Negli ultimi mesi si sono delineati gli schieramenti politici a favore e contro la proposta. Da una parte, troviamo lo UKIP e buona parte del partito conservatore a sostegno del “Leave“. Dall’altra parte, laburisti, liberal-democratici, verdi e l’altra parte dei conservatori a favore del “Remain“. A sostenere l’adesione all’Unione Europea è gran parte dei protagonisti della vita pubblica britannica. In particolar modo, la maggior parte degli economisti sembra sostenere la causa dell’Unione. All’inizio del 2016, infatti, un sondaggio tra 100 esperti in materia ha rivelato che più dei tre quarti degli interrogati riteneva che l’uscita dall’ UE avrebbe portato a ripercussioni negative per le prospettive economiche di medio termine. Rimanere nel mercato comune, infatti, porterebbe benefici notevoli al Regno Unito. Viene fatto notare, inoltre, che in caso di uscita il Regno Unito dovrebbe immediatamente negoziare un nuovo accordo con l’Unione Europea: qualora volesse ritornare nel mercato comune, dovrebbe sottoporsi nuovamente alle restrizioni attualmente esistenti, senza però avere voce in capitolo nelle decisioni prese a livello europeo. Il peggior scenario dipinto in caso di una “Brexit” è quello di una sofferenza prolungata dell’economia. Secondo l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), infatti, l’uscita si tradurrebbe in uno shock negativo per l’economia a medio-lungo termine.
Il “leave” sarebbe proprio una catastrofe? – Lo scenario paventato più comunemente dagli stessi detrattori del Brexit è quello di un danno nel complesso lieve all’economia, specialmente nel medio termine. Negli ultimi mesi, la campagna per l’uscita dall’Unione Europea ha più volte ripetuto che i rischi ipotizzati da gran parte della comunità economica sono ampiamente sovrastimati. Inoltre, viene fatto notare che gli economisti (rispetto ai politici) tenderebbero a sottovalutare l’importanza di tematiche chiave che non rientrano direttamente nell’ambito economico, come la sovranità nazionale. Oggettivamente, i principali vantaggi in caso di una Brexit consisterebbero nel risparmio sui fondi destinati annualmente all’Unione Europea (per circa 10 miliardi di sterline) e un limite all’immigrazione dei lavoratori meno qualificati. Ciononostante, il clima di incertezza generato dalle nuove circostanze potrebbe rendere vano il risparmio effettuato, mentre l’interruzione del flusso di manodopera a basso costo potrebbe comportare seri problemi per i settori dell’economia più dipendenti dalla migrazione. Lo scenario più favorevole prospettato da una minoranza di economisti, imprenditori e politici vede una Gran Bretagna che esce dall’Unione senza particolari sofferenze, ottenendo inoltre alti tassi di crescita nel giro di pochi anni. Complessivamente, ad ogni modo, la campagna per l’indipendenza del Regno Unito continua a soffrire di una certa debolezza, dovuta in particolare alla mancanza di appoggio da parte di figure internazionali di rilievo.
Un esito incerto – Se fino ad alcuni mesi fa il risultato della consultazione era nettamente a favore del “remain”, nelle ultime settimane la forbice si è ristretta. Nei prossimi 15 giorni però può ancora succedere di tutto. Alta tensione oltre Manica.
Michele Boaretto