Decimo compleanno di attività del Girasole: Luisa Bove, giornalista, ne è Presidente. A lei chiediamo: quale è stata la scintilla che vi ha fatto decidere per questa iniziativa a favore di reclusi verso il fine pena nella prospettiva di un loro reinserimento sociale?
L’associazione è nata a partire da una provocazione: San Vittore. Una realtà ingombrante che molti avrebbero voluto in periferia, invece il fatto di essere nel cuore della città provoca e non si può voltare la faccia dall’altra parte. Puntiamo molto sui detenuti che possono finire di scontare la pena all’esterno del carcere (ammessi alle misure alternative) e iniziare un percorso di inserimento sociale attraverso operatori e volontari del Girasole. Lo slogan che ci accompagna da dieci anni è una frase del cardinale Carlo Maria Martini: “La pena non cancella la dignità dell’uomo, non lo priva dei suoi diritti fondamentali: rispetto, nutrimento, istruzione, famiglia, libertà, solidarietà”.
Quali le modalità del servizio che offrite? A chi vi rivolgete? Come avviene il contatto? Chissà quante persone avete incontrato in dieci anni…
Offriamo ospitalità temporanea a chi non ha un domicilio e desidera rifarsi una vita: ricominciare da capo, trovare occupazione, pagarsi una casa e riallacciare i legami familiari. Abbiamo ospitato finora 126 detenuti in permesso premio (senza contare i familiari) e 19 in misura alternativa per periodi da un mese a un anno. Abbiamo contatti diretti con gli istituti di pena e mediati da partner quando si tratta di un progetto in rete con altre organizzazioni. Impossibile in 10 anni quantificare il numero di familiari che i volontari incontrano e assistono nella sala d’attesa colloqui di San Vittore. Solo nel 2015 i volontari hanno prestato servizio per 4.144 ore.
Il Girasole è certo un importante punto di osservazione sulla situazione carceraria: cosa è cambiato e cosa sta cambiando per chi vive la reclusione? La reclusione è un tema dibattuto: ma ai dibattiti seguono poi le scelte concrete delle autorità?
Il ministro della Giustizia Severino ha imposto le celle aperte durante il giorno e i reclusi non hanno più solo due ore d’aria per uscire; inoltre i detenuti possono accedere alle misure alternative non più solo 12 mesi prima del fine pena, ma 18 mesi prima. Quello che oggi manca è il riconoscimento, anche economico (con convenzioni o simili), da parte di istituzioni ed enti locali: le prestazioni che offriamo ai cittadini ristretti dovrebbero diventare servizi stabili delle Politiche sociali. Questo darebbe continuità ai servizi, evitando a noi di rincorrere bandi pubblici e privati per riuscire a garantire accoglienza e percorsi di reinserimento sociali ai detenuti e alle famiglie che si rivolgono a noi.
Il carcere, nella sua durezza, impone una stabilità. Il “fine pena” crea spesso ansia per la ripresa di contatti, di affetti, per la ricerca di un lavoro. Cosa può fare in questa fase di incertezza il Girasole e il volontariato in genere?
Il volontariato può fare molto e il Girasole ne è un esempio. Anche se occorrono risorse, perché gli appartamenti costano e anche alcune figure professionali – educatori, psicologi, mediatori, che dobbiamo introdurre nei percorsi di accompagnamento – vanno pagate. I volontari dell’associazione sono fondamentali anche per creare intorno ai nostri assistiti una rete sociale positiva, che sostiene, incoraggia e restituisce normalità alla vita relazionale.
(Dap)
Convegno Girasole <Le sfide del volontariato per una nuova giustizia>, venerdì 18 novembre ore 9.00-12.00 al Nuovo Teatro Ariberto, via Daniele Crespi 9, Milano. Per informazioni e iscrizioni www.associazioneilgirasole.org.
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