Con il 20 novembre si è concluso il Giubileo della Misericordia, fortemente voluto da papa Francesco e iniziato l’8 dicembre dello scorso anno. Cosa ci lasciano questi mesi?
Si leggono già i primi bilanci, a dire il vero non entusiastici dal punto di vista economico, almeno riguardo il numero di pellegrini e di presenze a Roma. Lo stesso papa Francesco aveva però definito quello della Misericordia come il primo ‘giubileo diffuso’, da celebrare prioritariamente nelle diocesi, dove sono state aperte in questi mesi migliaia di porte sante.
In un tempo di odio e rancore, in cui hanno spazio e fortuna coloro che invocano muri, rifiuti ed egoismi, il Papa ha fatto risuonare parole all’insegna della misericordia, definita nella bolla d’indizione del Giubileo l’architrave che sorregge la vita della Chiesa.
Francesco è oggetto di grande ammirazione e apparente consenso, ma le sue parole paiono mal conciliarsi con il clima prevalente a livello sociale e politico. In questo senso dovremmo dunque definire un flop il Giubileo? Non direi.
Gli incontri con i rappresentanti delle altre religioni, l’attenzione ai più deboli e agli esclusi, la continua insistenza riguardo la necessità di non chiudere gli occhi di fronte alle troppe forme di ingiustizia ed esclusione rimangono scolpiti nella coscienza della chiesa e della società e richiamano alla necessità di eliminare ogni forma di chiusura e di disprezzo e di allontanare violenza e discriminazione.
Parlare di misericordia è fuori moda, ma è forse il modo migliore per marcare quella “differenza cristiana” che chi crede è chiamato a custodire e a portare nel mondo come segno di contraddizione e di speranza.
Dal Giubileo che si chiude ci giunge la consapevolezza che abbiamo tremendamente bisogno di un nuovo modo di guardare con più attenzione e comprensione agli altri e, prima di tutto, a noi stessi e alle nostre fragilità: riconoscere di avere bisogno dell’altro è il primo passo per ricominciare a sperare e a costruire un futuro condiviso. Ne abbiamo bisogno e dipende soprattutto da noi.
Fabio Pizzul