Quarantasette anni fa iniziava a Milano la stagione del terrorismo politico.
Erano le 16 e 37 del 12 Dicembre 1969 e una bomba, nascosta sotto il bancone della sala centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, uccideva 16 persone e ne feriva 88.
La giustizia non ha mai colpito i colpevoli. Nel 2005, a 36 anni di distanza, la Corte di Cassazione stabilì con una sentenza che la strage fu ideata e condotta a termine da «un gruppo eversivo costituito a Padova, nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura». I due terroristi risultavano però non più processabili perché «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari» per lo stesso reato. Come se non bastasse, ai parenti delle vittime sono stati addebitate le spese processuali.
Sette processi hanno portato all’assoluzione di alcuni imputati e alla prescrizione del reato per altri.
L’iter giudiziario si indirizzò fin da subito lungo una strada sbagliata: le indagini puntarono infatti alla pista anarchica con l’incriminazione di Pietro Valpreda. Emerse poi la matrice del terrorismo nero, di estrema destra, ma, come dicevo, nessuno ha pagato in quanto colpevole di una delle più gravi stragi della storia della nostra Repubblica.
A distanza di pochi minuti, quel pomeriggio, esplodevano altri tre ordigni a Roma, senza provocare vittime, uno nella Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio e due all’Altare della Patria. Ci fu la consapevolezza che qualcuno avesse deciso di utilizzare la violenza e la paura per favorire una deriva autoritaria anche, come si legge nella Relazione della Commissione Stragi, grazie ad «accordi collusivi con apparati istituzionali».
La risposta della città fu imponente: trecentomila milanesi si radunarono sul sagrato del Duomo il 15 dicembre 1969, il giorno dei funerali, in un silenzio composto e irreale. Non si può dire altrettanto della risposta dello Stato, che non è risultato in grado di fare giustizia. Troppe ombre e reticenze hanno avvolto la vicenda di Piazza Fontana.
Le famiglie delle vittime sono state lasciate sole con il loro dolore, senza che nessuno sia riuscito a consegnar loro una verità credibile. L’annuale manifestazione in occasione dell’anniversario della strage non può certo riempire questo vuoto.
Fortunato Zinni, che era all’interno della banca, scrive con amarezza: “Il reato di strage è imperscrittibile, l’azione penale è obbligatoria e l’impegno a continuare a cercare la verità deve essere incessante fino a quando esiste un frammento di verità inesplorata. Se il sangue della storia asciuga in fretta, la sete di giustizia e verità è inestinguibile”.
Giustizia e verità che uno Stato dovrebbe essere in grado di garantire ai propri cittadini e a se stesso.
Fabio Pizzul