Foto: Rosy Bindi e Tina Anselmi nel 1993 ad Abano Terme alla Costituente del Nuovo Partito Popolare
Integrità e coerenza sono le due parole che meglio di altre racchiudono la lunga e straordinaria esistenza di Tina Anselmi e la consegnano alla storia dell’Italia repubblicana come una preziosa eredità per chiunque voglia impegnarsi nella vita pubblica.
Prima ancora di conoscerla nell’89, quando fui candidata in Veneto alle elezioni europee e senza i sui consigli e il suo appoggio non avrei vinto quelle elezioni, era un punto di riferimento per i cattolici democratici della mia generazione che in lei ammiravano una donna che aveva saputo incarnare tutte le qualità della politica migliore: onestà, rettitudine, laicità, coraggio, passione e intelligenza.
Tina era figlia del suo tempo, la seconda metà del ‘900 che ha visto l’immane tragedia del nazifascismo e la seconda guerra mondiale, la difficile costruzione della democrazia, il vento impetuoso del Concilio Vaticano II, il protagonismo dei giovani e delle donne, le grandi tensioni sociali e le aspre contrapposizioni ideologiche.
Questo tempo tumultuoso e contradditorio, Tina l’ha percorso e vissuto scegliendo sempre di stare dalla parte dei più deboli, nella fedeltà ai principi evangelici e con la mente e il cuore aperti alla speranza e alla costruzione di una società più giusta per tutti.
Staffetta partigiana a soli 16 anni, è stata una madrina della Repubblica pur non avendo l’età per votare al referendum del ’46 ed entrare alla Costituente, ma non dimenticò mai le fondamenta della nostra democrazia, consapevole che la Costituzione affonda le sue radici nella Resistenza e nell’antifascismo e nei valori di libertà, uguaglianza e solidarietà. Valori che non basta scrivere sulla carta ma che vanno attuati e tradotti in diritti esigibili cambiando le leggi, innovando regole e strumenti, modificando i rapporti di forza e le rendite di posizione. Tina lo ha fatto senza risparmiare energie, prima nel sindacato e poi nel partito che allora erano grandi scuole di politica e di vita in cui nessuno ti regalava niente e lei è stata capace di farsi strada, senza faziosità e senza compromessi di basso profilo, ma grazie alle sue competenze e all’autorevolezza che tutti le riconoscevano.
E ovunque ha lasciato un segno profondo. Al Governo, prima donna ministro del Lavoro e poi ministro della Sanità, ha contribuito a riforme fondamentali e coraggiose: la parità di trattamento tra uomini e donne, il nuovo diritto di famiglia, la chiusura dei manicomi, l’istituzione del servizio sanitario nazionale.
Il suo riformismo si colloca nel solco della sinistra democristiana e morotea ed è improntato a una concezione innovativa, laica e progressista della politica e della democrazia, strumenti di promozione della dignità della persona e dei diritti sociali. Donna di fede profonda, sapeva esercitare l’autonomia della politica e il senso delle istituzioni, lavorò a migliorare la legge sull’interruzione di gravidanza, era contraria all’aborto ma da ministro firmò il varo della legge.
Il rafforzamento della democrazia, una costante dell’impegno istituzionale di Tina, emerge con nitidezza quando ebbe l’incarico di guidare la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. Con coraggio e determinazione, scontando incomprensioni, diffidenze e solitudine, portò alla luce lo spaccato inquietante di un sistema occulto che condizionava la vita nazionale.
Tina esortò invano ad approfondire gli intrecci opaci tra finanza, politica, apparati militari, servizi segreti, rivelati dall’inchiesta sulla loggia massonica guidata da Licio Gelli. “La verità – aveva detto – possono cercarla solo quelli che hanno la capacità di sopportarla”. Ancora oggi dobbiamo interrogarci sulla rimozione troppo rapida delle denunce della sua Relazione conclusiva. La fermezza dimostrata in quella occasione le costò cara. Avrebbe potuto essere la prima donna presidente della Repubblica e invece, ben prima della malattia, ha scontato una progressiva emarginazione dalla scena politica. Non sarà ricandidata in Parlamento e non fu mai nominata senatrice a vita né dal Ciampi né da Napolitano.
Anche se da una posizione più defilata, non ha cessato il dialogo con le giovani generazioni a cui chiedeva di spendersi in prima persona per promuovere il rinnovamento della politica e non posso dimenticare il suo sostegno nella battaglia per la moralizzazione della Dc negli anni di Tangentopoli e la sua condivisione al progetto dell’Ulivo.
“La nostra democrazia è un bene delicato, fragile ed abbisogna della responsabilità di tutto un popolo. La democrazia non è solo libere elezioni, non è soltanto progresso economico, quale progresso? Per chi? È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli, è pace”.
Parole che rispecchiano i valori della Costituzione e le tappe più significative del suo impegno. Una donna giusta, l’ha definita il Vescovo di Treviso nel giorno delle esequie. E’ vero, una donna giusta a cui tutti dobbiamo riconoscenza e gratitudine.
Rosy Bindi