“Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. Papa Francesco, nel novembre del 2015, si rivolgeva con queste parole ai delegati del Convegno Ecclesiale di Firenze. Il Papa affidava alla comunità cristiana il compito di dare un contributo all’edificazione della società italiana che ha bisogno di una speranza che nasce dal dialogo.
Il tempo che viviamo non pare ispirato da questo stile: il referendum dello scorso 4 dicembre è il culmine di un’incapacità di creare un dialogo che potesse favorire un cambiamento, da tutti definito necessario, ma finito in secondo piano rispetto alla volontà di difendere un proprio spazio di agibilità politica.
In questo clima quale può essere il ruolo di cattolici? Dalla stagione del fermento diffuso dal basso che portò la Chiesa, attraverso il Concilio, a promuovere un rinnovamento evangelico e sociale, siamo progressivamente passati a una fase dominata da un Progetto Culturale che ha centralizzato e clericalizzato la presenza sociale della comunità ecclesiale, finendo per consumare un laicato cattolico che pare, come sostiene il direttore de “Il Regno” Gianfranco Brunelli, sempre più precario e timido nell’innovare e dare spessore sociale alla Chiesa che Francesco evocava a Firenze. Proprio il Papa si è preso sulle spalle il compito di trascinare la comunità ecclesiale fuori dalle secche, ma l’esito di questa traversata è tutt’altro che scontato. Il tempo che viviamo per questo richiede “cristiani coraggiosi”, espressione richiamata da un volume recentemente pubblicato da “In dialogo” con alcuni interventi sociali del cardinal Martini. Quest’ultimo, nel discorso alla città del 1997, raccomandava come fosse “importante dare rappresentanza alle esigenze di vera solidarietà e socialità che sole possono vincere l’aggressività degli esclusi e le paure della società”.
Lo stile del dialogo e la capacità di costruire relazioni sociali aperte ai più deboli sono probabilmente i primi passi concreti per un rinnovato impegno dei cattolici nella complicata fase sociale e politica che stiamo vivendo.
Fabio Pizzul