Sul cyberbullismo ci sono fatti di cronaca preoccupanti che ci interpellano: ci coglie impreparati, ma noi educatori non possiamo perdere tempo. La Regione Lombardia ha recentemente approvato la legge (1° firmatario Fabio Pizzul) a sostegno di iniziative di contrasto.
Il cyberbullismo é più spietato del bullismo, perché in pochissimo tempo la vittima può vedere la propria reputazione danneggiata in una comunità molto ampia, non si sente più al sicuro poiché i maltrattamenti la raggiungono persino nelle proprie mura. L ‘anonimato di internet permette di agire al coperto. Il cyberbullismo può essere anche di gruppo: più membri possono prendere di mira la stessa persona con azioni finalizzate ad impedire la sua partecipazione alla vita sociale. Il cyber bullo si avvicina con un atteggiamento amichevole per poi spiattellare a tutti le confidenze ricevute, con foto, informazioni false, minacce. Le ragazze sono vittime più dei ragazzi, spesso con messaggi e contenenti volgari e allusioni sessuali.
Il cyberbullismo costituisce un doppio rischio: i ragazzi possono caderne vittime, ma possono loro stessi diventare cyberbulli. La vittima, generalmente, è una persona con bassa autostima, timida, brava a scuola, o con qualche difficoltà. Preferisce il silenzio per vergogna, timore dei rimproveri, intimidazione al silenzio. Ne consegue la perdita della fiducia in se stessi, stati di ansia, depressione, fino al suicidio.
Spesso i genitori e gli insegnanti ne rimangono all’oscuro, perché non hanno accesso alla comunicazione in rete degli adolescenti. Ci sono adulti che sottovalutano il problema e che, magari senza accorgersi, con il loro comportamento ne fanno parte. Infatti, non è solo un fenomeno adolescenziale, ma riguarda anche molti adulti.
Alla base c’è una relazione sbagliata che evidenzia il bisogno di sentirsi forti, di emergere, di essere prepotenti con la certezza della visibilità che l’evento procura nella società della comunicazione e dell’immagine. C’è la mancanza di rispetto per la persona: l’altro è inteso solo come un oggetto per il mio divertimento, ma c’è anche il bisogno di attenzione e di ascolto.
Molti cyberbulli pensano che quello che stanno facendo è solo uno scherzo e chi diffonde le proprie immagini lo fa con superficialità senza pensare alle conseguenze.
Da qualche tempo, si parla di Cyberstupidyty (P.C.Rivoltella) , un termine che è entrato a far parte del mondo della comunicazione e dell’educazione. Essere stupidi in rete significa non essere in grado di fare uso consapevole e critico delle risorse che il digitale ci mette a disposizione. Come posso essere stupido quando faccio uno sgambetto a un compagno, così posso comportarmi in modo analogo in rete con commenti pesanti su Facebook o inviando fotografie imbarazzanti al gruppo in Whatsapp.
Non possiamo sottovalutare le potenzialità della tecnologia e vivere pensando che i ragazzi non debbano stare in rete, tuttavia dobbiamo essere consapevoli che più si abbassa l’età di chi naviga, più l’uso che se ne fa diventa rischioso. Infatti, incontro ragazzi della scuola primaria che padroneggiano i social senza avere la consapevolezza degli eventuali pericoli.
Come possiamo costruire saggezza anche online? Occorre aiutare i ragazzi al recupero del reale sul virtuale, a valorizzare le relazioni a tu per tu, fare esperienza del vantaggio della presenza di un altro, col quale magari anche litigare, dentro un rapporto che coinvolga tutto il corpo, fatto di sensazioni, emozioni, sentimenti, pensieri. C’è il gruppo di cyberbulli, ma c’è anche il gruppo degli amici buoni per contrastare i bulli e sostenere l’amico vittima. Quando qualcuno interviene in difesa, soprattutto i pari, il cyberbullismo decresce sensibilmente.
Occorre ricordare che ciò che è vietato nella vita reale, lo è anche nel mondo digitale: certi comportamenti sono azioni delinquenziali di cui si occupano anche Polizia e Carabinieri.
In diversi casi è utile cambiare indirizzo di posta elettronica e non frequentare più i siti o le chat infestate dal cyber bullo e capire che la cosa più sbagliata da fare è quella di dare corda al persecutore: supplicarlo di smettere, rispondergli per le rime, mostrarsi arrabbiati.
Come educatori dobbiamo educare all’autostima, che significa anche impegno nello studio e saper far fronte alla fatica. E’ importante sostenere la vittima, creando un’atmosfera che trasmetta sicurezza e fiducia.
Rosangela Carù