I Paesi Bassi frenano – per il momento – l’avanzata dei populismi xenofobi in Europa. Anche se il premier uscente Rutte, che ha tenuto testa all’antieuropeista Wilders, è ora costretto a un governo di coalizione la cui composizione non è semplice data la frammentazione della Camera bassa.
Se dopo il voto olandese del 15 marzo l’Europa tira un sospiro di sollievo, in realtà già si guarda alle nuove prove elettorali del 2017, anche più rilevanti per importanza: le presidenziali francesi di fine aprile-inizio maggio (primo turno e ballottaggio) e le politiche tedesche di settembre.
Si è detto che forse il populismo “è stato sopravvalutato” in termini elettorali: potrebbe essere vero e i sistemi elettorali dei diversi Paesi, specie quello francese, potrebbero ostacolare la vittoria da parte di Marine Le Pen e omologhi di varia nazionalità (compresi gli italiani Grillo e Salvini). Resta il fatto che il populismo è espressione di un sentire diffuso (talvolta fondato su buone ragioni), di una distanza abissale tra i cittadini e la politica, prima ancora che tra i cittadini e l’Europa. Ciò che è in crisi non è solo, o non tanto, l’Ue, ma la democrazia partecipativa (lo si misura anche a livello comunale o nazionale). E questo è, se possibile, ancora più preoccupante.
In tale contesto ha senso celebrare, come viene fatto a Roma il 25 marzo 2017, il 60° dei Trattati istitutivi dell’Unione? Quelli che, il 25 marzo 1957, diedero vita alla Comunità economica europea e alla Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), precorritrici dell’attuale Ue.
Le celebrazioni di Roma possono avere valore se si collocano anzitutto in una prospettiva storica: siamo tutti, oggi, troppo a digiuno di storia proprio nel momento in cui da più parti si alzano voci che invocano le ‘identità’ da coltivare, tutelare, valorizzare. Ma quale identità riscopriamo, o rilanciamo, se non conosciamo la nostra storia? E la storia del Vecchio continente ha da raccontarci di un processo di integrazione economica e politica che, dagli anni ’50 del Novecento in poi, ha costruito, sulle ceneri e le tragedie della seconda guerra mondiale, decenni di pace, democrazia, libertà, diritti e benessere.
Si sarebbe potuto fare di meglio? Davvero abbiamo pace e diritti in Europa? E il benessere che fine ha fatto dopo la crisi degli scorsi anni? Domande legittime, alle quali si risponde rivolgendo necessariamente lo sguardo complessivo al mondo, scoprendo che in altri continenti la pace, la democrazia e gli standard di vita che attualmente sperimentiamo in Europa non sono mai stati raggiunti e ancora oggi sono solo un sogno, un’aspirazione, una speranza.
Ma è altrettanto vero che la Storia non basta. Non è sufficiente volgere lo sguardo all’indietro per ridare speranza ai giovani che non hanno lavoro, a chi chiede sicurezza, a chi invoca una soluzione dignitosa ai flussi migratori che si riversano sull’Europa. Occorrono risposte nuove ai nuovi problemi che bussano alle porte dell’Europa. E siccome queste nuove sfide hanno per lo più un carattere ‘globale’ – perché si originano spesso ben lontano dall’Ue, in altre regioni del mondo, e perché coinvolgono globalmente la vita quotidiana – allora occorrono progetti, interventi, soluzioni che vanno al di là della capacità decisionale dei singoli Stati.
Oggi più che mai “l’unione fa la forza”. E L’Unione europea può fornire, adesso e nel futuro, risposte concrete alle attese dei cittadini d’Europa.
Gianni Borsa
Corrispondente Agenzia Sir – Bruxelles