Se Berlusconi si ricandida alle politiche appare come un ardito, se M5S designa in una giornata un potenziale candidato sindaco di una rilevante città con 40 click di preferenza ci si ride sopra, se il PD muove 250.000 iscritti e magari 2 milioni di elettori è un fatto dovuto, e ‘bisogna almeno dire’ che il tempo era ristretto. Al di là delle simpatie o antipatie per Renzi, è difficile trovare oggi nel panorama politico italiano un partito al di fuori del PD che da anni faccia congressi e primarie, oltre a discussioni feroci e uscite dolorose.
Sarebbe stato utile, nel frattempo, regolamentare la democraticità dei partiti secondo l’art. 49 della Costituzione per permettere a tutti i cittadini il ‘diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale’; così non è stato, c’è stato un periodo in cui questo sembrava possibile, ma credo che ormai si sia perso il treno.
In questo contesto, ora che si è superata la riforma costituzionale – certo non perfetta ma forse meglio del groviglio esistente (doppia lettura delle leggi, doppia fiducia al governo) -, si dovrebbe fare una nuova legge elettorale. Due parole stanno diventando sacre: proporzionalità e armonizzazione.
Se la richiesta di proporzionalità può avere una giustificazione nell’essere passato il sistema dei partiti da bipolare a tripolare (e quindi il premio di maggioranza/governabilità finirebbe ad un partito attorno al 30%), essa porterà inesorabilmente alla larghe intese, proprio quelle che hanno provocato e provocano critiche e continui frazionamenti a sinistra. Infatti con due Camere è difficile oggi evitare il rischio di maggioranze diversificate, essendo l’elettorato (per età) e il sistema (regionale per il Senato) diversi.
Dall’altra l’armonizzazione fra legge della Camera e quella del Senato, richiesta dal Presidente Mattarella, può essere intesa sia nel senso dell’innalzamento delle soglie di accesso (compattando sui partiti più rilevanti) sia nel loro abbassamento (permettendo la sopravvivenza dei piccoli partiti).
E’ difficile fare una riforma elettorale in accordo con partiti che a legislazione vigente non entrerebbero al Senato (soglia dell’8%) e a fatica entrerebbero alla Camera (soglia del 3%). La prospettiva rischia di diventare quella di una legge con esito sempre più dispersivo che sacrifica la governabilità nel nome dell’armonizzazione al ribasso.
Lasciamo stare i decreti in materia elettorale visto che l’ultimo comma dell’articolo 72 della Costituzione stabilisce una riserva all’Assemblea e che in passato si sono fatti decreti solo per questioni ‘tecniche’ e previa acquisizione del consenso di tutti i gruppi parlamentari.
I temi interessanti potrebbero allora restare tre: collegi non regionali al Senato, voto con doppia preferenza di genere, libertà di preferenza a discapito del capolista bloccato.
Se riuscissimo a vedere esaudito almeno il terzo desiderio qualche passo avanti si sarebbe fatto, con la percezione che …se si fosse fatto prima forse si sarebbe contenuta qualche conseguenza spiacevole del ‘combinato disposto’.
Paolo Danuvola