La settimana passata ha riportato agli onori della cronaca le vicende della guerra in Siria. La notizia dell’attacco chimico nell’area di Idlib è stata ripresa dalla stampa internazionale suscitando l’indignazione di molti per via della crudeltà dell’attacco e della giovane età delle vittime coinvolte.
A ciò si è aggiunto ulteriore sgomento per via della risposta americana arrivata sotto forma di missili lanciati da due portaerei di stanza nel Mediterraneo contro la base siriana da cui si pensa sia partito l’attacco chimico. Una risposta unilaterale che arrivava a due giorni dalla conferenza internazionale sul futuro della Siria che ha visto riuniti a Bruxelles delegazioni nazionali, donatori istituzionali, Nazioni Unite, organizzazioni umanitarie e società civile. Durante la conferenza è stato ribadito il loro supporto ai negoziati in corso a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite per una soluzione politica del conflitto. Negoziati indeboliti dall’incapacità delle stesse Nazioni Unite di dare risposte credibili alla crisi siriana per via dei veti (e degli interessi) incrociati che negli ultimi 6 anni hanno paralizzato il Consiglio di Sicurezza, delegittimandolo.
La questione dell’utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad già emerse nel 2013 e fu indicata da Obama come linea rossa da non oltrepassare. La Siria aveva risposto con l’adesione alla Convenzione sulle Armi Chimiche e la consegna di diverse armi, che valsero il Nobel per la Pace all’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche.
Nonostante quest’operazione di facciata altre linee rosse stabilite dal diritto umanitario sono state attraversate più volte nel corso del conflitto. In molti hanno detto che l’umanità è morta a Idlib: soffocata dai gas chimici che hanno ucciso un centinaio di civili, fra cui molti bambini. Non è così purtroppo, l’umanità era già morta da tempo: uccisa nel dicembre scorso ad Aleppo, morta di fame durante l’assedio di Madaya, schiacciata dalle macerie causate dalle esplosioni dei barili bomba, morta insieme ai medici uccisi con i loro pazienti e affogata nel Mediterraneo, insieme a quanti hanno preso il mare alla ricerca di un futuro migliore, di pace e sicurezza.
È morta nel nostro silenzio, nella nostra incapacità di chiedere una risposta alla crisi siriana.
Federica Cova