Il dibattito politico, a volte, è curioso e spesso prescinde da ogni riferimento a dati reali.
Credo non faccia eccezione quello che si sta muovendo attorno alle primarie del PD in calendario per il 30 aprile. Al di là della data, incastrata tra due ponti e al termine di un aprile più festivo che lavorativo, l’appuntamento per scegliere il nuovo segretario del più grande (per non dire il solo) partito italiano pare essere stato avvolto da un mix di scetticismo e sottovalutazione.
Un’operazione studiata a tavolino? Non ci sono elementi per dimostrarlo, ma la sensazione è di essere di fronte a un tentativo di depotenziare una manifestazione di democrazia interna che infastidisce chi non è in grado di organizzarla o preferisce gestire la propria organizzazione politica in modo meno trasparente o, appunto, democratico.
Le primarie sono strumento importante, che non può essere banalizzato o abusato, ma neppure confuso con altre forme di pseudo partecipazione che servono solo a fornire un bel paravento a formule plebiscitarie più o meno virtuali che funzionano solo grazie a un imprimatur virtuale del leader di turno.
Le primarie non possono sostituire la vita ordinaria di un partito, che è, per fortuna, ancora fatta di radicamento territoriale, riunioni, confronti e dibattiti; senza queste dimensioni saremmo di fronte a una sorta di comitato elettorale che si attiva solo in caso di scadenze elettive.
Il Partito Democratico ha dimostrato di avere la forza e il coraggio di coinvolgere i propri elettori nelle scelte fondamentali per il futuro proprio e del Paese. Altri non hanno dimostrato di saperlo e poterlo fare, limitandosi spesso ad annunci di primarie o consultazioni similari che non si sono poi concretizzate in nulla di davvero credibile. Per non parlare, poi, di altre forme di consultazione che, affidate alla leggerezza distratta di un click, ottengono il solo obiettivo di testimoniare la vacuità di chi le promuove. La beffa è che spesso, nella percezione dell’opinione pubblica, le une e le altre consultazioni pari sono.
Personalmente sono ancora affezionato alle dimensione fisica della partecipazione e alle sue manifestazioni popolari, che si sostanziano anche nella responsabilità di esprimere un voto attraverso la fatica di entrare in relazione con altre persone che condividono un percorso e un orizzonte politico.
Le primarie non servono solo a chi le vince, rappresentano un atto collettivo di indirizzo per una forza politica che voglia tentare di proporre una sintesi progettuale tra diverse sensibilità che è bene esistano e vengano valorizzate.
Ho l’impressione che, qualunque sarà l’affluenza alle primarie del 30 aprile, ci sarà un coro di commenti con un unico obiettivo: sminuirne il risultato e il significato della partecipazione.
Personalmente preferisco tenermi strette le primarie e il popolo che sceglierà di affollare le migliaia di seggi sparsi per tutta Italia. Tra primarie che si evocano e quelle che si fanno, permettetemi di scegliere le seconde.
Fabio Pizzul