Macron-Le Pen: 23,8 a 21,6%. Il ballottaggio per l’elezione del Presidente della Repubblica francese, in calendario il prossimo 7 maggio, si polarizza. Da una parte il giovane Macron, la faccia nuova della politica d’Oltralpe, fondatore rapido del movimento En Marche, europeista, riformista di area centrosinistra (anche se le categorie italiane reggono meno sul versante francese). Dall’altra la “sovranista” Le Pen, leader del Front National, navigata esponente di un nazionalismo antieuropeista a tratti xenofobo, che sembrava andare per la maggiore in un Paese segnato dal terrorismo, da un’economia che fatica a rialzarsi, da uno sbiadirsi progressivo dell’identità nazionale.
Il primo turno del 23 aprile ha riservato qualche sorpresa, dopo una campagna urlata, inacidita dagli attentati, spesso giocata su chi si mostrasse il più lontano possibile da Bruxelles. Il grande sconfitto è certamente François Fillon (Les Republicains, gollista, poco sotto il 20%), primo degli esclusi, penalizzato dagli scandali. Ottima, benché insufficiente per accedere al secondo turno, la prestazione di Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise, estrema sinistra), che supera il 19%. Grande sconfitto dalle urne il socialista Benoit Hamon (6%), che non è mai stato in partita. Spariscono quindi dal ballottaggio i partiti storici. Tutti gli altri pretendenti, lì a dimostrare che, comunque, la Francia è un Paese politicamente sbriciolato.
Il ballottaggio non giocherà a favore della Le Pen perché è facile prevedere una convergenza dei francesi su Macron per evitare di consegnare l’Eliseo a una populista. Macron sarebbe favorito dalle norme costituzionali che non impongono il voto di fiducia iniziale al Governo di diretta nomina presidenziale (diverso sarò per le legislative).
Macron è sulla via della vittoria, ‘nonostante’ – si potrebbe osservare – la sua fede europeista. L’arrivo all’Eliseo del sostenitore più forte di una nuova Unione politica federale tra i paesi disponibili -nella previsione di un confermato europeismo tedesco- può diventare lo spartiacque per le elezioni negli altri Paesi, sia per le piattaforme politiche pre-elettorali che per eventuali intese post-elettorali.
Oggi forse Trump e Putin sono meno sicuri di poter snobbare l’Europa e l’Inghilterra si sente più isola. Gli europeisti sorridono.
Gianni Borsa