Crescere, elevarsi, alzarsi: proiezioni e aspirazioni sempre appartenute alla pelle di Milano, a noi che l’abitiamo. Come se questo perenne movimento, oggi, fosse congelato tutto lì, in quella verticalizzazione concentrata in poco spazio: Porta Nuova.
Sì, perché Milano è piccola, la giri in un giorno dentro un perimetro circolare di mura antiche. Riservata e nascosta ora si è scoperta, si è messa a nudo, mostrandosi non solo a chi l’attraversa dentro le sue vie, ma anche a chi da lontano la guarda e la riconosce come avamposto europeo, città metropolitana.
E’ bastato alzarla, elevarla. Milano la conoscevi dal basso, dall’andare e venire tra vie radianti, dal salire e scendere di stazioni di metrò alzando ogni tanto lo sguardo per scoprire i profili alti, magnifici dei suoi palazzi, della sua dignitosa bellezza di un ‘800 e ‘900 che l’hanno definita. La nostra abitudine visiva ha fatto un balzo improvviso. A Porta Nuova, “antiche varesine”, sta un ulteriore centro, in un sali e scendi di scale mobili, di rampe passanti tra ali di edifici verso uno spazio circolare, scenograficamente chiuso da pareti di vetro e di metallo; lì il tuo occhio si verticalizza in spirale fino al punto finito di un’asta, come in antiche cattedrali gotiche in un movimento di spirito dal basso verso l’alto. Alle tue spalle c’è una traiettoria: da Cordusio, via Mercato, Garibaldi, corso Como per impiantarsi, in piazza Aulenti, sulle facciate del palazzo specchiato. E lì sembra concentrarsi, rigenerarsi un ulteriore spazio sociale, un germe di tessuto di collettività, come Milano è sempre capace di creare nelle sue trasformazioni. Perché l’operazione urbanistica ha vinto sull’architettura, o meglio, l’ha tenuta insieme. Tutte concentrate lì tipologie diverse, superfici, materiali, forme, altezze non sono andate ognuno per sé, eventi solitari, ma hanno trovato il loro equi-librio di spazio e funzioni. La gente ha completato l’operazione, di giorno e di notte. Porta Nuova non è un nuovo centro: quello fisico rimane piazza Duomo, ma è un altro polo di questa città policentrica, dove ogni luogo ha una propria collettività e identità. Subito dopo c’è Isola, poco prima Garibaldi e Brera; quartieri che hanno ripreso ancor più vita senza morire sotto il peso verticale dei nuovi, schiacciati dietro le quinte massicce e specchiate di altezze o di uno scalo metropolitano. Qui è venuta in soccorso la storia, il tessuto sociale, urbano di quartieri con un’identità di osmosi e trasformazione sociale. Ponti, rampe, sottopassi sono ora connettori di luoghi di trasmigrazione sociale dove dalla via della movida passi alla piazza collettiva di fruizione popolare per poi attraversandola ritrovarti in spaccati di vita quotidiana, teatri ancora vitali, vetrine artigiane, collettivi e associazioni, mercati e edicole d’angolo.
E ora tra l’orizzontalità dell’Isola e la verticalità di Porta Nuova ci sta pure un campo di grano, paradosso visivo e spaziale di nuovi concetti di urbanesimo: la campagna nella città, il bosco nell’edificio. Perché qui a Milano ora piace tanto andare in orizzontale dentro al verticale.
Maura Restelli