Il 2015 è stato un anno nero dal punto di vista umanitario: tante le crisi irrisolte e le situazioni di precarietà che richiedono una stabilizzazione, su tutte la questione migratoria. L’aumento dei flussi verso l’Europa ha messo a dura prova il sistema di accoglienza europeo, dimostrandone i limiti. La fortezza Europa si è arroccata erigendo barriere sui suoi confini esterni e ristabilendo barriere interne da tempo in disuso (Danimarca e Svezia). Gli stati membri hanno adottato iniziative nazionali, dimostrandosi però incapaci di trovare una soluzione comune per gestire i flussi migratori e per garantire un’effettiva protezione ai migranti.
Dal punto di vista diplomatico, lo scorso novembre si sono tenuti due importanti incontri: il vertice internazionale tra capi di stato Europei e Africani a La Valletta e quello tra Unione Europea e Turchia.
Il summit a La Valletta ha portato all’adozione di una dichiarazione politica e di un ambizioso piano d’azione per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare, migliorare la protezione dei migranti e richiedenti asilo e collaborare in materia di rimpatri. Per ognuno dei cinque obiettivi vengono individuate delle misure che gli stati si impegnano ad applicare nel corso del 2016, per le quali è stato istituito un Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa di 1,8 miliardi di euro a cui si aggiungono quelli donati dagli stati membri. Oltre al rischio che questi impegni restino sulla carta, non è ancora chiaro come il fondo sarà gestito e, aspetto non meno inquietante, è concreto il rischio che venga utilizzato da alcuni governi africani per fermare le partenze anche violando i diritti umani.
Problemi simili si riscontrano nell’accordo raggiunto con la Turchia per gestire il crescente flusso di migranti che dal Medio Oriente cerca di entrare in Europa e per migliorare la condizione dei circa 2 milioni di profughi siriani ospitati in Turchia. L’UE si è impegnata a contribuire con 3 miliardi di euro. In questo accordo non è ancora chiaro come verranno spesi questi fondi e la promessa di riprendere attivamente i negoziati per far entrare la Turchia nell’Unione pare ardita, tanto più che fuori dalla discussione sono rimasti i diritti umani, le libertà negate e la questione curda. Gli obiettivi di questi accordi con paesi africani e Turchia sono sbilanciati sulla gestione dei flussi e sulla limitazione delle partenze, mettendo in secondo piano la tutela del diritto a chiedere protezione internazionale e i diritti umani.
In un contesto di instabilità geopolitica, conflitti e violazioni diffuse dei diritti fondamentali, non è possibile per l’UE chiudere le proprie frontiere in cambio di risorse economiche, delegando queste tutele a paesi che palesemente non sono in grado di garantirle. Il modello fortezza Europa lascia i migranti in balia dei trafficanti provocando numerose morti alle sue frontiere.
E’ dunque necessario adottare un approccio alle migrazioni che passi dal garantire primariamente la sicurezza dei confini, spesso fatta con le barriere e il filo spinato, al garantire la sicurezza delle persone che quei confini li attraversano.
Federica Cova