Le difficoltà incontrate dal disegno di legge sulle unioni civili dicono di una sottovalutazione iniziale nella scelta del testo da incardinare al Senato. Mentre sul riconoscimento dei diritti si poteva e si può contare su una larga maggioranza, così non è su un testo che ha proposto un “simil matrimonio”, introducendo un concetto plurale di famiglia in contrasto con l’art. 29 della Costituzione. Anche una sentenza della Corte Costituzionale del 2010 chiedeva di disciplinare queste unioni senza omologarle al matrimonio.
Le difficoltà sono aumentate di fronte alle rigidità di chi, ritenendo di avere il risultato a portata di mano, ha rifiutato -anche a causa dell’ostruzionismo delle opposizioni- riscritture necessarie. In Commissione giustizia si è potuto approvare un emendamento che definisce le Unioni come “formazioni sociali specifiche”, riferendosi così all’articolo 2 della Cost. e non all’articolo 29 dove la famiglia è definita come “società naturale fondata sul matrimonio”; ma non si sono corretti i rimandi al Codici Civile in tema di matrimonio presenti negli artt. 2,3 e 4. Sull’art. 5 della legge che introduce la cosiddetta “stepchild adoption”, in Commissione non è stato possibile trovare un accordo su soluzioni alternative o graduali a tutela dei minori, né sulla proposta di stralciare la materia rinviandola ad una riforma organica degli istituti paragenitoriali.
Non trovando una sintesi in Commissione il testo di legge è stato inviato all’Aula senza un relatore, soluzione estrema specie su un tema così delicato.
Nel dibattito di questi giorni non sono mancate visioni emotive ed esasperazioni esperienziali. Così come non sono mancati approcci ideologici con il sempre riemergente laicismo portato a vedere nella posizione cattolica, una sorta di oscurantismo contro la modernità e i diritti. In realtà le posizioni dell’area cattolica sono state diversificate, vi è chi si è attestato su di una avversione totale al progetto di legge, chi riconoscendo l’opportunità di una legge in materia ha operato per correggere e integrare il testo dando motivazioni laiche, come è dovere del parlamentare, accettate da varie componenti, a partire dallo stesso PD.
Due osservazioni. Nel mondo cattolico italiano, le posizioni emerse su questo argomento, hanno registrato lacune formative e culturali anche all’interno delle associazioni e tra gli operatori pastorali. Come si può pretendere che ci sia una presenza politica dei cattolici, non più affidata a contenitori identitari ma caratterizzata da una significativa presenza culturale in contenitori plurali, se non viene accompagnata da alcune visioni condivise almeno dalla parte più impegnata della comunità? Al disorientamento ha contribuito anche il dirigismo esercitato negli anni passati da parte della gerarchia ecclesiastica sui temi etici e sulle stesse scelte politiche (mobilitazione nel 2007 contro i cosiddetti “DICO” che si limitavano a riconoscere i diritti individuali su un piano privatistico). Oggi se ne raccolgono i risultati.
Infine un ultimo aspetto. È evidente che dietro il confronto sul tema, dietro agli sforzi di mediazione sul testo, per il PD – partito che ha proposto la legge – si pone anche un problema politico: è in grado di mostrarsi come partito plurale così com’era nel progetto iniziale, dove culture diverse si incontravano e, più ancora, lavoravano intorno ad una sintesi adeguata a questo tempo, a questa società? Le difficoltà incontrate per correggere e integrare il testo di legge in esame dicono che anche questo è un problema aperto su cui lavorare.
Ernesto Preziosi – Parlamentare PD