Il recente referendum sulle trivelle non ha raggiunto il quorum. Ha indicato così primariamente la distanza fra cittadini e le loro Regioni che lo avevano proposto, ma soprattutto l’indisponibilità popolare a far diventare clava politica contro il governo un quesito che doveva rimanere tecnico. A forza di referendum che non mostrano la pregnanza richiesta per la mobilitazione popolare si provoca ormai una disaffezione anche ad uno strumento che i costituenti avevano pensato come fortemente partecipato e utilizzabile per temi di indirizzo valoriale. Non ha raggiunto il quorum, dicevamo: sì perché questo referendum, essendo abrogativo di una parte di legge ordinaria esistente, sulla base dell’art. 75 Cost., richiede che vadano al voto almeno il 50% +1 degli elettori, e fra questi prevale la maggioranza. Così non è avvenuto.
In un attimo l’attenzione è passata allora ad un altro referendum, quello sulla modifica della Costituzione in programma per l’autunno. E subito il rischio è diventato ancora una volta quello della sfida fra Governo ed opposizioni, col Premier che condiziona al suo buon esito la possibilità di continuare a governare e le opposizioni -tutte- che intendono ritentare la spallata. Vedremo.
Due sole note:
La prima sul tipo di referendum: la prossima volta, in base alla modifica della Costituzione prevista dall’art.138 Cost., non ci sarà il quorum per la validità della consultazione. Qualunque sarà il numero dei votanti, la scelta che avrà un voto in più prevarrà. Anche se votassero il dieci per cento degli aventi diritto il referendum sarà valido, e questo spingerà tutti a non appoggiarsi sugli ‘astenuti sistemici’ che ormai non vanno più a votare.
La seconda sui contenuti: sarebbe buona cosa che le argomentazioni prevalessero sugli schieramenti esterni ed interni ai partiti, ma temo non sarà così.
Leggo in questi giorni che un gruppo rilevante di qualificati costituzionalisti motiva le proprie perplessità e contrarietà a questa modifica della Costituzione. Ma almeno, positivamente, non parla più di golpe, e conviene sulla necessità di innovazione che si rifaccia al documento dei Saggi formulato su richiesta dell’allora Presidente Napolitano. Mi sembra però che diverse note di quel documento siano state recepite, anche se nessuno è perfetto.
Ma allora: perché invece di uno scontro frontale non si è collaborato? E ora, sarebbe proprio opportuno azzerare tutto? Personalmente non credo.
Nel frattempo le imminenti elezioni amministrative non saranno neutrali su come procedere.
Paolo Danuvola