Il cuore della riforma costituzionale che su cui saremo chiamati a votare nei prossimi mesi è il superamento del bicameralismo perfetto: oggi le leggi sono approvate da entrambi i rami del Parlamento mentre con il nuovo testo – salvo casi particolari come le leggi costituzionali e quelle su referendum, enti locali, ratifica dei trattati europei – saranno approvate unicamente dalla Camera (il Senato potrà solo suggerire emendamenti) e sarà sempre quest’ultima a dare/togliere la fiducia al governo, a cui dovrebbe quindi essere assicurata una maggioranza più solida, soprattutto con l’Italicum (che oggi prevede un sistema proporzionale con premio di maggioranza, con 340 seggi alla lista più votata che raggiunge il 40% dei voti; altrimenti ci sarà il ballottaggio tra le due liste più votate). Inoltre, i 630 deputati continueranno a essere eletti dai cittadini, mentre i senatori (ridotti da 315 a 95, più 5 di nomina presidenziale) verranno scelti dai Consigli regionali, tenendo conto delle preferenze espresse nelle elezioni regionali.
La riforma amplia poi le competenze legislative dello Stato a scapito delle Regioni: il primo acquisterà materie quali la comunicazione, l’energia, le grandi reti di trasporto e potrà emanare norme generali su tutela della salute, politiche sociali, cultura e turismo, governo del territorio; le Regioni conserveranno la competenza su territorio, mobilità, servizi socio-sanitari e scolastici, ma lo Stato potrà intervenire anche in questi campi per tutelare l’interesse nazionale.
Infine, la riforma porterà da 50.000 a 150.000 le firme necessarie per le leggi d’iniziativa popolare, imponendo però di fissare un termine entro cui esse dovranno essere votate, abbasserà il quorum dei referendum abrogativi (purché siano state raccolte 800.000 firme), introdurrà referendum propositivi e d’indirizzo e consentirà di sottoporre alla Corte costituzionale le leggi elettorali prima che entrino in vigore.
Rimangono intatte le norme sui diritti dei cittadini e sugli organi di garanzia. È vero che, riducendo il numero dei senatori, aumenterà il peso relativo del partito di maggioranza quando il Parlamento si riunirà in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica e la nomina dei componenti del CSM; tuttavia è improbabile che un solo partito arrivi a determinare l’esito di queste votazioni, che richiedono la maggioranza di almeno tre quinti dei votanti.
In vista del referendum, è utile domandarsi se la distinzione di funzioni tra Camera e Senato renda più o meno efficiente il sistema; se l’elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali assicuri comunque che le scelte dei governanti rispecchino la volontà dei cittadini; se sia opportuno aumentare i poteri dello Stato, riducendo quelli delle Regioni; se il ricorso a referendum e leggi d’iniziativa popolare verrà agevolato o meno dalla riforma.
Una risposta positiva a queste domande consente di ritenere la riforma un passo avanti rispetto al testo vigente.
Alessandro Basilico
Avvocato e dottore di ricerca in diritto costituzionale